È la pace il primo strumento per realizzare un’economia ecologica

Il grande economista Nicholas Georgescu-Roegen, ispiratore della moderna economia ecologica, ha lasciato in eredità al mondo un Programma bioeconomico minimale, fondato sull’idea di ridurre gli sprechi e di usare le risorse scarse a nostra disposizione per godersi le comodità prodotte dallo sviluppo tecnologico. Un programma in otto “semplici” punti, in vetta ai quali spicca un’esortazione categorica: «La produzione di tutti i mezzi bellici, non solo la guerra, dovrebbe essere completamente proibita». Oltre all’inaccettabile costo in termini di sofferenza e perdita di vite umane causate dalle guerre in ogni parte del mondo,  i costi economici legati alla guerra ammontano ormai a 14 trilioni di dollari l’anno, ovvero il 12,6% del Pil globale. Un’enormità rispetto agli investimenti ritenuti necessari dall’Onu per veicolare concretamente in tutto il mondo la transizione verso la green economy, stimati al 2% del Pil globale.

 

In altre parole, per farsi la guerra il genere umano spende ogni anno 6 volte di più di quanto sarebbe necessario investire per realizzare un’economia ecologica, in grado di creare lavoro e lenire le ferite che abbiamo causato all’ambiente che ci dà la vita. È dunque la pace il primo viatico per l’economia ecologica. Per dare sostanza a quest’assunto, riproponiamo di seguito il Programma bioeconomico minimale di Nicholas Georgescu-Roegen, commentato dall’economista ecologico dell’Università di Pisa Tommaso Luzzati.

 

Un’economia basata essenzialmente sul flusso di energia solare eliminerà anche il monopolio della generazione presente sulle future (1). Questo non avverrà completamente, perché anche un’economia del genere dovrà attingere al patrimonio terrestre, soprattutto per quanto riguarda i materiali(2): si tratta di rendere minore possibile il consumo di tali risorse critiche (3). Le innovazioni tecnologiche avranno certamente un peso in tale direzione (4)

 

Ma è l’ora di smettere di insistere esclusivamente – come a quanto pare hanno fatto finora tutte le piattaforme – su un aumento dell’offerta. Anche la domanda può svolgere un compito, in ultima analisi perfino maggiore e più efficiente (5). Sarebbe sciocco proporre di rinunciare completamente alle comodità industriali dell’evoluzione esosomatica (6).

 

Il genere umano non tornerà alla caverna o, meglio, all’albero. Ma in un programma bioeconomico minimale si possono includere alcuni punti.

 

Primo, la produzione di tutti i mezzi bellici, non solo la guerra, dovrebbe essere completamente proibita. È assolutamente assurdo (e ipocrita) continuare a coltivare tabacco se per ammissione generale nessuno intende fumare. Le nazioni così sviluppate da essere le maggiori produttrici di armamenti dovrebbero riuscire senza difficoltà a raggiungere un accordo su questa proibizione se, come sostengono (7), hanno abbastanza saggezza da guidare il genere umano. L’interruzione della produzione di tutti i mezzi bellici non solo eliminerebbe almeno le uccisioni di massa con armi sofisticate, ma renderebbe anche disponibili forze immensamente produttive senza far abbassare il tenore di vita nei paesi corrispondenti.

 

Secondo, utilizzando queste forze produttive e con ulteriori misure ben pianificate e franche, bisogna aiutare le nazioni in via di sviluppo ad arrivare il più velocemente possibile a un tenore di vita buono (non lussuoso). Tanto i paesi ricchi quanto quelli poveri devono effettivamente partecipare agli sforzi richiesti da questa trasformazione e accettare la necessità di un cambiamento radicale nelle loro visioni polarizzate della vita.

 

Terzo, il genere umano dovrebbe gradualmente, ridurre la propria popolazione portandola a un livello in cui l’alimentazione possa essere adeguatamente fornita dalla sola agricoltura organica. Naturalmente le nazioni che adesso hanno un notevole tasso di sviluppo demografico dovranno impegnarsi duramente per raggiungere risultati in tal senso il più rapidamente possibile.

 

Quarto, finché l’uso diretto dell’energia solare non diventa un bene generale o non si ottiene la fusione controllata, ogni spreco di energia per surriscaldamento, superraffreddamento, superaccelerazione, superilluminazione ecc. dovrebbe essere attentamente evitato e, se necessario, rigidamente regolamentato.

 

Quinto, dobbiamo curarci dalla passione morbosa per i congegni stravaganti, splendidamente illustrata da un oggetto contraddittorio come l’automobilina per il golf, e per splendori pachidermici come le automobili che non entrano nel garage. Se ci riusciremo, i costruttori smetteranno di produrre simili “beni”.

 

Sesto, dobbiamo liberarci anche della moda, quella “malattia della mente umana”, come la chiamò l’abate Fernando Galiani nel suo famoso Della moneta (1750). È veramente una malattia della mente gettar via una giacca o un mobile quando possono ancora servire al loro scopo specifico. Acquistare una macchina “nuova” ogni anno e arredare la casa ogni due è un crimine bioeconomico. Altri autori hanno già proposto di fabbricare gli oggetti in modo che durino più a lungo (per esempio, Hibbard, 1968, p. 146). Ma è ancor più importante che i consumatori si rieduchino da sé così da disprezzare la moda. I produttori dovrebbero allora concentrarsi sulla durabilità.

 

Settimo (strettamente collegato al punto precedente), i beni devono essere resi più durevolitramite una progettazione che consenta poi di ripararli. (Per fare un esempio pratico, al giorno d’oggi molte volte dobbiamo buttar via un paio di scarpe solo perché si è rotto un laccio.)

 

Ottavo (in assoluta armonia con tutte le considerazioni precedenti), dovremmo curarci per liberarci di quella che chiamo “la circumdrome del rasoio”, che consiste nel radersi più in fretta per aver più tempo per lavorare a una macchina che rada più in fretta per poi aver più tempo per lavorare a una macchina che rada ancora più in fretta, e tosi via, ad infinitum.Questo cambiamento richiederà un gran numero di ripudi da parte di tutti quegli ambienti professionali che hanno attirato l’uomo in questa vuota regressione senza limiti. Dobbiamo renderci conto che un prerequisito importante per una buona vita è una quantità considerevole di tempo libero trascorso in modo intelligente.

 

Esaminate su carta, in astratto, queste esortazioni sembrerebbero, nel loro insieme, ragionevoli a chiunque fosse disposto a esaminare la logica su cui poggiano. Ma da quando ho cominciato a interessarmi della natura antropica del processo economico, non riesco a liberarmi di un’idea: è disposto il genere umano a prendere in considerazione un programma che implichi una limitazione della sua assuefazione alle comodità esosomatiche? Forse il destino dell’uomo è quello di avere una vita breve, ma ardente, eccitante e stravagante piuttosto che un’esistenza lunga, monotona e vegetativa. Siano le altre specie – le amebe, per esempio – che non hanno ambizioni spirituali, a ereditare una Terra ancora immersa in un oceano di luce solare (8).

 

Nicholas Georgescu- Roegen

 

Energia e miti economici, 1982, Boringhieri, Torino (edizione originale 1976)

 

Estratto pp. 73-75

 

A cura di Tommaso Luzzati

 

FONTE: http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/la-pace-primo-strumento-realizzare-economia-ecologica/