La gentrificazione climatica: pronta a scoppiare una bolla immobiliare costiera

Joe Romm scrive su ThinkProgress che  «Una bolla immobiliare costiera da trilioni di dollari è pronta a scoppiare mentre l’innalzamento del livello del mare causato dal riscaldamento globale e le mareggiate minacciano sempre più proprietà con le inondazioni».

 

Intervistato dal Wall Street Journal, Jesse Keenan ha detto che questo è «Un segno dei cambiamenti climatici» e che già oggi i prezzi delle proprietà costiere sono relativamente depressi per l’aumento del rischio di inondazioni.

 

Keenan è il principale autore dello studio “Climate gentrification: from theory to empiricism in Miami-Dade County, Florida”, pubblicato su Environmental Research Letters da un team di ricercatori dell’Harvard University,  dal quale emerge che, dal 2000 circa in poi, «Le percentuali di apprezzamento dei prezzi nelle case a elevazione più bassa sul livello del mare non hanno tenuto il passo con i tassi di apprezzamento delle case più in alto». Quindi, le case lungo la costa di Miami più a rischio per i cambiamenti climatici stanno vedendo il loro valore scendere nel tempo rispetto alle case meno a rischio di inondazioni.

 

Un secondo studio più ampio, “Disaster on the Horizon: The Price Effect of Sea Level Rise” pubblicato su SSRN da un team di ricercatori dell’università del  Colorado – Boulder e della Pennsylvania State University, ha rilevato che «Le case esposte all’innalzamento del livello del mare» hanno un prezzo inferiore del 7% rispetto alle case che si trovano alla stessa distanza dalla spiaggia, ma che sono meno esposto alle inondazioni. Lo studio, che ha utilizzato i dati della grande agenzia immobiliare Zillow provenienti da tutti gli Usa, ha concluso che il divario dei prezzi tra case più rischiose e case più sicure è determinato dagli “investitori più sofisticati”, per i quali il gap è di circa «l’11% ed è aumentato nel tempo , in concomitanza con la pubblicazione di nuove prove scientifiche sull’entità e la tempistica delle inondazioni oceaniche».

 

Insomma, i super-ricchi che hanno votato in massa per Donald Trump non credono al negazionismo climatico del loro benefattore politico. Anche perché, come sottolinea Romm, «I rischi economici derivanti dall’innalzamento dei mari sono enormi, ma le politiche dell’amministrazione Trump garantiscono quasi sempre uno scenario peggiore».

 

E’ quello che già nel 2014 l’inchiesta “As the seas rise, a slow-motion disaster gnaws at America’s shores” definiva «un disastro al rallentatore»,, calcolando in quasi 1,25 miliardi di dollari il valore delle proprietà costiere il cui valore ha tassi di mercato inferiori a quelli previsti dal National Flood Insurance Program.

 

Nell’ottobre 2017 Lloyd Dixon, direttore del RAND Center for Catastrophic Risk Management and Compensation, aveva  detto all’International Business Times  che «Il rischio aumenterà con l’innalzamento del livello del mare e, quando ciò accadrà, ci si aspetterebbe che il valore della proprietà diminuisca. Ad un certo punto, la proprietà diventerà inutile».

 

Se le previsioni scientifiche fanno paura, l’ideologia negazionistica di Trump è ancora più minacciosa. Romm sottolinea che «Da un lato, le politiche dell’amministrazione Trump – abbandonare l’accordo sul clima di Parigi mentre si lavora per rottamare sia l’azione climatica interna che i programmi di adattamento costiero – rendono più probabili gli scenari climatici peggiori, mentre minano gli sforzi delle comunità costiere per prepararsi a ciò che sta arrivando. D’altra parte, l’ultima scienza chiarisce che tali politiche distruggeranno ogni ultimo brandello della  proprietà costiera degli Stati Uniti (e globale) nei prossimi decenni».

 

Questa previsioni scientifiche sono state recentemente esaminata dagli  scienziati di 13 agenzie federali nel National Climate Assessment (Nca) pubblicato a novembre e che è stato prima  sottoposto al vaglio dell’amministrazione Trump. L’Nca ha esaminato gli scenari che si aprirebbero con  un fallimento dell’Accordo di Parigi e ha scoperto che entro il 2050 il livello dei mari «potrebbe aumentare da 1,4 a 1,8 piedi», Romm fa notare che «E’ il periodo dei mutui trentennali  che le banche presto prenderanno in considerazione. Quando le banche smetteranno di fornire quei mutui, i valori delle proprietà crolleranno».

 

Le coste Usa hanno già vissuto catastrofi del genere con gli uragani Harveys e Sandys che probabilmente rappresentano il futuro di molte città costiere Usa che erano rimaste praticamente immuni dalle catastrofi costiere. Nel 2013 il rapporto “Explaining Extreme Events of 2012 from a Climate Perspective” della National oceanic and atmospheric administration  Usa avvertiva che, permanendo scenari ad alte emissioni di gas serra, entro la metà del secolo inondazioni come quelle dell’uragano Sandy potrebbero verificarsi ogni anno o due.

 

Nel 2016 Sean Becketti, economista capo del colosso dei mutui Freddie Mac, aveva avvertito che la bolla immobiliare costiera scoppierà prima del previsto: «Alcuni residenti incasseranno presto e subiranno perdite minime. Gli altri non saranno così fortunati».

 

Ad aprile Bloomberg scriveva che «La domanda e i finanziamenti potrebbero collassare prima che il mare si mangi una casa». Gli studi climatici rivelano questo processo potrebbe essere già avviato.

 

Romm conclude: «Dato che la bolla della proprietà costiera dovrebbe scoppiare in un futuro non troppo lontano – e che i primi venditori delle costose proprietà costiere se la caveranno molto meglio di quelli successivi – la deflazione iniziale che stiamo vedendo potrebbe accelerare l’inevitabile sell-off. Ecco l’ultima domanda per i padroni di proprietà costiere e le istituzioni finanziarie che li supportano: chi farà parte del smart money  denaro intelligente che ne uscirà presto e chi resterà con l’altro tipo di money?»

 

FONTE: http://www.greenreport.it/news/clima/la-gentrificazione-climatica-pronta-scoppiare-bolla-immobiliare-costiera-trilioni-dollari/