Fao, basterebbe lo 0,3% del Pil globale per mettere fine a fame e povertà

Il mondo si è impegnato a eliminare la piaga della fame dalla faccia della terra: è questo l’obiettivo numero 2 che i firmatari – come l’Italia – dell’Agenda Onu per lo sviluppo sostenibile si sono impegnati a tagliare entro neanche 12 anni, ovvero il 2030. Nonostante i progressi compiuti negli ultimi lustri, dal 2015 stiamo però marciando a passo di gambero. Come ha recentemente confermato un rapporto Onu, negli ultimi tre anni la fame nel mondo è tornata ad aumentare, fino a colpire oggi una persona su nove (mentre un adulto su otto è obeso); il fattore chiave ad aver innescato la retromarcia è il cambiamento climatico, che insieme ai conflitti armati risulta anche un elemento determinante delle migrazioni in corso – e che in genere solo in piccolissima parte notiamo, quando pochi disperati raggiungono le nostre coste.

 

Eppure il nostro mondo, non fosse segnato da profonde e crescenti disuguaglianze, avrebbe in abbondanza le risorse necessarie per mettere fine a fame e povertà cronica. Secondo i dati forniti dalla Fao – l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura – nel corso del Global forum che ieri ha accolto a Roma oltre 200 tra investitori, leader aziendali e decisori politici da tutto il mondo, saranno necessarie «risorse aggiuntive fino a 265 miliardi di dollari per porre fine alla povertà e alla fame entro il 2030». Si tratta di una cifra che potrebbe apparire enorme, ma che rappresenta in realtà circa lo 0,3% del Pil globale (stimato dalla Banca mondiale in oltre 80 mila miliardi di dollari a fine 2017).

 

«Con il rapido avvicinarsi del 2030, istituzioni per lo sviluppo e istituzioni finanziarie internazionali devono collaborare con il settore privato per trovare soluzioni sostenibili alle principali sfide allo sviluppo, come la povertà, i cambiamenti climatici e le migrazioni. Questo significa – spiega Suma Chakrabarti, Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo – creare contesti in cui l’innovazione possa fiorire e dove gli investitori privati siano incentivati a contribuire ad una crescita economica inclusiva e alla sostenibilità ambientale».

 

Ad oggi gli investimenti pubblici non sono sufficienti a raggiungere gli Obiettivi Onu di sviluppo sostenibile, ma istituzioni per lo sviluppo e istituzioni finanziarie internazionali possono collaborare in modo più strategico per fare leva sugli investimenti privati. Da questo punto di vista «un trend incoraggiante, già visibile nel settore agricolo – sottolinea il vicedirettore generale della Fao, Daniel Gustafson – sono gli investimenti “ad impatto sociale” nei quali gli investitori privati investono in iniziative che generano profitto oltre , appunto, a impatti sociali e ambientali».

 

I sistemi alimentari e agricoli sono oggi confrontati da gravi sfide: dalla necessità di produrre di più con meno per sfamare una popolazione mondiale in crescita, a ridurre l’impronta di carbonio del settore, al creare opportunità di impiego decente, soprattutto per i giovani nei paesi in via di sviluppo che altrimenti non avrebbero altra alternativa che migrare altrove. Si tratta di sfide enormi e urgenti, ma non al di fuori delle possibilità economiche globali: a scarseggiare non sono i soldi, ma la volontà politica.

 

di Luca Aterini

 

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