Istat: giovani in fuga e sviluppo sostenibile lasciato al caso

Mentre una larga fetta della popolazione italiana, fomentata dalla propaganda politica e da una comunicazione distorta, vede nell’arrivo dei migranti sulle coste italiane – peraltro in robusto calo da tempo – un’emergenza primaria cui far fronte, la “recessione demografica” cristallizzata oggi dall’Istat nel suo rapporto annuale sulla situazione del Paese rimane sullo sfondo. Forse perché mostra una realtà completamente rovesciata rispetto a quella del senso comune: sempre più spesso i migranti siamo noi italiani, i giovani in particolare, che lasciano l’Italia in cerca di miglior futuro altrove.

 

«Tra il 2008 e il 2017 i saldi con l’estero di giovani cittadini italiani con livello di studio medio-alto sono negativi in tutte le regioni italiane – spiega l’Istat – la Lombardia è in assoluto la regione che ha ceduto ad altri paesi più risorse qualificate (-24 mila giovani residenti), seguita dalla Sicilia (-13 mila), dal Veneto (-12 mila), dal Lazio (-11 mila) e dalla Campania (-10 mila)». Un’emorragia che, complessivamente, vede nel Mezzogiorno il malato più grave: «Negli ultimi dieci anni i trasferimenti di residenza, da e verso l’estero, evidenziano un saldo migratorio sempre negativo e una perdita netta di circa 420 mila residenti italiani. Quasi la metà (208 mila unità) è costituita da giovani dai 20 ai 34 anni, di cui due su tre sono in possesso di un livello di istruzione medio-alto».

 

Per invertire questo trend disastroso le politiche-bandiera del Governo, come la flat tax o quota 100, sono foriere di ulteriori disuguaglianze di reddito o generazionali, e dunque completamente inutili quando non controproducenti: «Durante il periodo della crisi economica – argomenta l’Istat – i Paesi europei con minori livelli di disuguaglianza nella distribuzione dei redditi hanno registrato performance migliori nella crescita del Pil. Inoltre, i livelli di fiducia nelle istituzioni politiche sono più alti laddove la disuguaglianza è più bassa e la crescita economica è maggiore». Non a caso oggi sia il Pil sia la fiducia nelle istituzioni sono ai minimi termini, in Italia.

 

Quel che serve è restituire una prospettiva di futuro prospero ed inclusivo, che non a caso i giovani che negli ultimi mesi sono scesi in piazza contro i cambiamenti climatici hanno visto nell’economia verde. I dati Istat gli danno ragione. Il settore delle ecoindustrie – definite come quelle attività che contribuiscono direttamente alla protezione dell’ambiente o di gestione delle risorse naturali, o il cui utilizzo persegue una finalità di tipo ambientale – è già oggi tra i più promettenti. Il valore complessivo dei beni e servizi in quest’ambito ha raggiunto nel 2017 i 77 miliardi di euro di produzione; in termini di valore aggiunto si tratta di circa 36 miliardi di euro, ovvero il 2,3% del Pil italiano, un valore «lievemente superiore alla media europea (che non arriva al 2%)». Oltre il 65% del valore aggiunto prodotto dal settore deriva dalla produzione di beni e servizi, mentre alle attività di protezione dell’ambiente va il rimanente 35%.

 

Per migliorare ancora e offrire rilevanti ricadute occupazionali – che possono arrivare a 800mila posti di lavoro entro il 2025, secondo la Fondazione per lo sviluppo sostenibile guidata dall’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi – occorre però un’adeguata politica industriale a sostegno della green economy, oggi pressoché assente come mostrano lo stallo dell’economia circolare e del percorso di decarbonizzazione che caratterizzano il nostro Paese dal 2014, ovvero da quando la morsa della crisi  economica – con il suo corredo di imprese chiuse e consumi calanti – si è allentata.

 

Il primo esempio arriva dalla progressiva riduzione del consumo di risorse naturali: «Sebbene ancora lontani da un ideale disaccoppiamento tra sviluppo delle attività economiche e pressioni sugli ecosistemi, il rapporto tra consumo di materiale interno (quantità di materiali utilizzati dal sistema socio-economico) e Pil si riduce, tra il 2000 e il 2017, di circa il 50% (da 0,61 a 0,31 tonnellate per 1.000 euro), risultato a cui sembrano aver contribuito sia, almeno in parte, il complessivo rallentamento dell’attività produttiva, sia una maggiore attenzione all’efficienza dei processi produttivi». In questo contesto, l’ultimo rapporto elaborato dal Circular economy network e dall’Enea mostra però che la produttività delle risorse, quella energetica e l’effettivo utilizzo di materiali riciclati (al 17,1% sul totale) sono fermi o in calo dal 2014.

 

Se è indubbio che la «crisi economica non spiega completamente la dinamica delle emissioni» italiane, il ruolo del rallentamento economico nel miglioramento delle performance ambientali italiane è evidente anche nell’ambito del processo di decarbonizzazione: «Nel periodo 1990-2017 le emissioni di gas climalteranti dell’Italia, espresse in tonnellate di CO2 equivalenti (CO2 eq) sono passate dai 526 milioni di tonnellate del 1990 (anno di riferimento degli accordi internazionali relativi a queste emissioni) al massimo storico di 600 milioni di tonnellate della metà degli anni 2000, per poi scendere rapidamente fino ai 433 milioni di tonnellate del 2014 (-17,7% rispetto al 1990) e assestarsi su questi livelli fino al 2017. Sono evidenti, vista la rapidità della flessione registrata negli anni precedenti il 2014, gli effetti della crisi economica, sia sulle emissioni generate dalle attività produttive, in riduzione del 28,9%, sia su quelle generate dai consumatori (le famiglie), che si sono ridotte nello stesso periodo del 23,4%».

 

Per far sì che la riduzione delle emissioni climalteranti e quella del consumo di risorse naturali possano essere l’elemento fondante attorno al quale ridare speranza all’Italia è dunque necessario che siano imperniate attorno a un processo di sviluppo sostenibile, inclusivo e governato, e non lasciate pressoché al caso – quando non ostacolate da una normativa di settore ottusa e miope.

 

di Luca Aterini

 

Fonte: http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/listat-fotografa-la-situazione-del-paese-giovani-in-fuga-e-sviluppo-sostenibile-lasciato-al-caso/?fbclid=IwAR1Ro7EK8f81eNMmvlOvL1e0jLBY5Su6_GvAaZD3xR1OhSDmMZw9wbpSVaY