Il mondo rischia di perdere un decennio di progressi verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Italia 24esima

Secondo il “Sustainable Development Report 2023” (SDR), presentato dal Sustainable Development Solutions Network (SDSN)  alla vigilia  del Sommet pour un nouveau pacte financier mondial tenutosi a Parigi, «Per il terzo anno consecutivo, i progressi globali verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) sono stati statici e vi è il rischio che il divario nei risultati degli SDG tra i Paesi ad alto reddito e i Paesi a basso reddito sia più grande nel 2030 rispetto a quando gli Obiettivi sono stati universalmente concordati nel 2015».

 

L’SDR presenta anche l’Indice degli SDG e le tabelle con le classifiche delle performance di  tutti gli Stati membri dell’Onu e sostiene che «Nonostante le cattive notizie in un contesto in cui il mondo è ancora lontano dal raggiungere gli SDG, per i Paesi ora è il momento di raddoppiare i progressi verso gli SDG approvando una profonda riforma dell’architettura finanziaria globale e implementando lo Stimolo agli SDG per colmare il significativo deficit di finanziamento che affligge i Paesi in via di sviluppo ed emergenti».

 

Jeffrey D. Sachs, presidente dell’SDSN e autore principale del Rapporto, ha sottolineato che «A metà strada verso il 2030, il mondo è seriamente fuori strada per raggiungere gli SDG, e i Paesi poveri e altamente vulnerabili sono quelli che soffrono di più».

 

Il rapporto denuncia che i Paesi ricchi continuano a generare ricadute internazionali negative: «Se si prendono in considerazione i modelli di consumo, uno dei settori più importanti per le ricadute internazionali negative delle emissioni di gas serra è quello del tessile e dell’abbigliamento. Il 2023 International Spillover Index  incluso nell’SDR evidenzia che «Il 59% delle emissioni di gas serra viene emesso lungo la catena di approvvigionamento di Paesi diversi da quello in cui vengono consumati i prodotti tessili e di abbigliamento finali».

 

Per l’ SDSN  «Sono necessari a tutti i livelli strumenti basati sulla scienza per guidare l’azione degli SDG e rafforzare la responsabilità». L’Environmental Systems Research Institute (Esri), la nuova iniziativa di punta dell’SDSN lanciata alla vigilia del summit di Parigi, punta proprio a «Fornire un insieme di strumenti basati sulla scienza e a fungere da piattaforma per l’apprendimento e lo scambio peer-to-peer tra scienziati, professionisti e investitori sulla prossima generazione di strumenti politici, analisi e percorsi a lungo termine per gli SDG. Sulla base di una partnership innovativa tra l’SDSN e l’Esri, il SDG Index di quest’anno incorpora due nuovi indicatori che si basano su strumenti geospaziali per misurare l’accesso ai servizi urbani chiave e l’accesso alle strade.

 

Per Sachs al summit di Parigi (che si è concluso praticamente con un nulla di fatto) e poi al G20 a New Delhi, il vertice sugli SDG Onu a settembre e alla COP28 Unfccc a Dubai la comunità internazionale dovrebbe «Intervenire per aumentare i flussi finanziari internazionali in base alle esigenze degli SDG. Sarebbe inconcepibile che il mondo perdesse questa opportunità, e soprattutto che i paesi più ricchi si sottraessero alle proprie responsabilità. Gli SDG restano fondamentali per il futuro che vogliamo».

 

Ma il rapporto mostra che la realtà è un‘altra: «A metà strada verso gli SDG, al ritmo attuale nessun obiettivo sarà raggiunto entro il 2030» e che «In base all’attuale ritmo di progresso realizzato dal 2015, nessuno degli Obiettivi sarà raggiunto entro il 2030 e, in media, meno del 20% degli obiettivi degli SDG è sulla buona strada per essere raggiunto. Mentre tra il 2015 e il 2019 il mondo stava compiendo alcuni modesti progressi sugli SDG, dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19 e le simultanee crisi e battute d’arresto a livello globale, i progressi si sono arrestati e sono di un punto intero al di sotto del livello previsto sulla base delle tendenze pre-pandemia». Inoltre, il Rapporto evidenzia che esiste il rischio che il gap nei risultati degli SDG tra i Paesi ad alto reddito e i Paesi a basso reddito sia maggiore nel 2030 (29 punti) rispetto al 2015 (28 punti)», avvertendo che «C’è il pericolo di perdere globalmente un decennio di progressi verso la convergenza».

 

Tra gli indicatori degli SDG che hanno registrato le più significative inversioni di tendenza ci sono il benessere soggettivo, l’accesso alle vaccinazioni, la povertà e il livello di disoccupazione. Gli obiettivi degli OSS relativi alla fame, alle diete sostenibili e ai risultati della salute (SD 2 e 3) sono particolarmente fuori strada, così come la difesa della biodiversità terrestre e marina (SDG 14 e 15), l’inquinamento urbano e l’inquinamento da plastica (SDG 11 e 12) e le istituzioni forti e le società pacifiche (SDG 16). In media, dall’adozione degli SDG nel 2015, il mondo ha compiuto alcuni progressi nel rafforzare l’accesso alle infrastrutture chiave, in particolare nell’ambito dell’SDG 6 (Acqua potabile e servizi igienici), dell’SDG 7 (Energia accessibile e pulita) e dell’SDG 9 (Industria, innovazione e infrastrutture).

 

La Finlandia è prima in classifica nel “2023 SDG Index”, seguita da Svezia, Danimarca, Germania e Austria. I Paesi europei continuano a essere in testa all’Indice degli SDG – occupando i primi 10 posti – e sono sulla buona strada per raggiungere il maggior numero di Obiettivi rispetto a qualsiasi altra regione: Danimarca, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia e Slovacchia sono i primi cinque Paesi che hanno raggiunto o sono sulla buona strada per raggiungere il maggior numero di obiettivi OSS quest’anno.

 

Eppure, in quasi tutti questi Paesi che mostrano un’invidiabile salute sociale e qualità dei servizi hanno vinto, o ci sono andati vicine, forze politiche di destra che contestano questo modello accusandolo di portare i rispettivi paesi verso la catastrofe economica.

 

L’Italia del governo di destra resta però lontana dalla testa della classifica: 24esima su 166 Paesi analizzati con pessimi risultati per quanto riguarda l’SDG 12 Rifiuti elettronici e SDG 13 Emissioni di CO2 derivanti dalla combustione di combustibili fossili e dalla produzione di cemento. L’Italia è lenta anche nel rispettare gli Obiettivi per Domanda di pianificazione familiare soddisfatta con metodi moderni (SDG 4), Crescita del PIL corretta (SDG 8), Industria, innovazione e infrastrutture (SDG 9), Consumo e produzione responsabili (SDG 12), Area media protetta in siti marini importanti per la biodiversità (SDG 14) con problemi p soprattutto derivanti dalla pesca insostenibile, mentre per l’Area media protetta in siti terrestri importanti per la biodiversità (SDG 15) l’Italia arranca un po’ ovunque e soprattutto su Minacce alla biodiversità terrestre e d’acqua dolce incorporate nelle importazioni.

 

Il nostro Paese va invece naturalmente bene per tutti gli SDG che riguardano la povertà estrema (sotto i 2,15 dollari al giorno), la denutrizione, la mortalità materna e l’accesso ai servizi primari – problemi che restano enormi nei Paesi in via di sviluppo e poveri – anche per quanto riguarda la fame zero (SDG 2) l’Italia ha grossi problemi per Prevalenza di obesità, BMI ≥ 30, Livello trofico umano e Indice di gestione sostenibile dell’azoto. Il nostro Paese va bene anche per quanto riguarda sicurezza e omicidi, uno dei cavalli di battaglia della destra (quando non è al governo). Invece l’Italia non va benissimo sul coefficiente Gini (SDG 10) che la misura la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o della ricchezza, visto che ha un punteggio stagnante o in aumento a meno del 50% del tasso richiesto.

 

L’Italia è staccata dagli altri Paesi europei, ma la nostra situazione è ancora un paradiso rispetto a quella di molti Paesi in via di sviluppo e a quelli più poveri  dove è difficile centrare anche gli SDG basilari. In fondo alla classifica e addirittura retrocedendo rispetto agli obiettivi della maggioranza degli SDG ci sono Libano, Yemen, Papua Nuova Guinea, Venezuela e Myanmar. Ma il rapporto fa notare che questo dipende anche dal fatto che  «Persistono carenze croniche nel finanziamento degli SDG alle economie emergenti e in via di sviluppo».

 

Gli SDG sono in sostanza un programma di investimenti e il Rapporto sottolinea che «L’attuale architettura finanziaria globale non riesce a indirizzare i risparmi globali verso gli investimenti SDG al ritmo e nella misura necessar»i. Secondo Moody’s e Banca Mondiale, «Nel 2022, gli investimenti pro capite nei Paesi a basso reddito sono stati in media di soli 175 dollari a persona, rispetto agli 11.535 dollari a persona nei Paesi ad alto reddito. La maggior parte dei Paesi a basso reddito e dei Paesi a reddito medio-basso non ha il rating creditizio per ottenere prestiti a condizioni accettabili, il che li rende altamente vulnerabili alle crisi di liquidità e di bilancia dei pagamenti e rende quasi impossibile per questi Paesi attuare strategie di investimento sostenibili a lungo termine». A questi problemi si aggiungono «I mercati dei capitali privati che continuano a indirizzare ingenti flussi di risparmio privato verso tecnologie e pratiche non sostenibili e un sistema internazionale ostacolato da quadri obsoleti per garantire il finanziamento degli SDG su larga scala».

 

Per questo, l’SDSN propone 6 priorità per la riforma dell’architettura finanziaria globale che comprendono l’adozione di uno Stimolo agli SDG, elaborato dal Leadership Council dell’SDSN, un gruppo preminente di esperti e leader mondiali dello sviluppo sostenibile provenienti dal mondo accademico, dalle imprese, dalla società civile e dal settore pubblico.

 

Per l’SDSN, «Tutti i Paesi, sia quelli più poveri che quelli più ricchi, dovrebbero approfittare del momentum di metà percorso verso il raggiungimento degli SDG per rivedere e auto-criticare le proprie strategie nazionali sugli SDG e i quadri di investimento a lungo termine» e il rapporto evidenzia che «Gli sforzi e l’impegno dei governi nei confronti degli SDG sono troppo bassi e nessun Paese è vicino a ottenere un punteggio perfetto.

 

Tra i Paesi ci sono differenze significative, con alcune economie emergenti e in via di sviluppo, come Benin, Ghana, Indonesia, Nigeria e Senegal  che mostrano un impegno notevole per gli SDG. Tra i Paesi del G20, i punteggi medi variano da oltre il 75% dell’Indonesia a meno del 40% nella Federazione Russa e degli Stati Uniti. «In particolare – spiega l’SDSN – i Paesi a basso reddito e a reddito medio-basso hanno ottenuto un punteggio medio più alto rispetto ai Paesi ad alto reddito per quanto riguarda la leadership politica e istituzionale per gli SDG». Dall’adozione degli SDG, solo Haiti, Myanmar, Sud Sudan, Yemen e Stati Uniti non hanno mai presentato all’Onu il loro piano d’azione per gli SDG per una revisione nazionale volontaria.

 

Il nuovo rapporto dimostra anche che «Nonostante la maggior parte dei governi abbia segnalato un’integrazione “soft” degli SDG nelle proprie pratiche e procedure di gestione pubblica, nella maggior parte dei Paesi manca un’integrazione “hard” degli SDG, compreso l’uso degli SDG per sostenere i quadri di bilancio e di investimento a lungo termine». Da un’indagine condotta su 74 Paesi e sull’Unione Europea, è emerso che «Solo un terzo dei governi menziona gli SDG o utilizza termini correlati nell’ultimo documento di bilancio ufficiale, e ancora meno governi inseriscono gli SDG in una sezione dedicata, in linee di bilancio o in allocazioni.

 

Una componente importante degli sforzi e degli impegni dei Paesi per gli SDG è la promozione del multilateralismo e della cooperazione globale ai sensi della Carta delle Nazioni Unite, il documento fondante dell’Onu. Il SDR di quest’anno include il primo pilot index of multilateralism che evidenzia le dimensioni generali del sostegno al multilateralismo e le differenze tra i Paesi, incluse, tra le altre, quelle sugli sforzi dei Paesi per promuovere e preservare la pace, la percentuale di trattati Onu ratificati, la solidarietà e i finanziamenti internazionali, l’appartenenza a organizzazioni Onu selezionate e l’uso di misure coercitive unilaterali. Argentina, Barbados, Cile, Germania, Giamaica e Seychelles hanno ottenuto il punteggio più alto per i loro sforzi nel promuovere il multilateralismo, ma nessun Paese ha ottenuto un punteggio pieno.

 

Fonte https://greenreport.it/news/economia-ecologica/il-mondo-rischia-di-perdere-un-decennio-di-progressi-verso-gli-obiettivi-di-sviluppo-sostenibile-italia-24esima/