Proteste degli agricoltori: “Miope e pericoloso prendersela con il Green Deal”

Non si fermano le proteste degli agricoltori in Europa e in Italia. In queste ore i trattori sono giunti a Roma e a Sanremo, dove si sta tenendo il Festival. Questa mobilitazione di massa presenta notevoli ambiguità e solleva molti dubbi, come ha rimarcato anche il nostro Andrea Degl’Innocenti in una puntata di Io non mi rassegno in occasione della quale ha dato ampio spazio all’analisi delle motivazioni che hanno scatenato le proteste e delle conseguenze che esse hanno avuto.

 

Sul tema è intervenuta anche Deafal, ONG che da anni si occupa dell’impatto sociale e ambientale dell’agricoltura e porta avanti, fra le altre cose, un’intensa attività di diffusione dell’agricoltura organica rigenerativa. Secondo Deafal, se i “trattori” hanno avuto un merito, questo è stato porre sotto i riflettori la crisi strutturale che affligge il settore primario e l’intera filiera agroalimentare nell’Unione Europea. “Il problema però – sottolinea l’organizzazione nella sua presa di posizione – è che queste rivendicazioni indicano un colpevole sbagliato: le strategie del Green Deal e Farm to Fork dell’Unione Europea”.

 

Le proteste degli agricoltori sono volte all’ottenimento di una revisione completa della PAC – va ricordato che l’80% dei fondi PAC viene assegnato al 20% delle aziende agricole, principalmente grandi gruppi –, “un esempio di estremismo ambientalista a scapito della produzione agricola e dei consumatori”, oltre alla revisione dell’obbligo per gli agricoltori europei di lasciare incolto il 4% dei propri campi in modo da stimolare la biodiversità dei terreni. Proprio la rigenerazione del suolo è uno dei temi chiave per Deafal e della pratica dell’agricoltura rigenerativa, che l’ONG ha recentemente difeso dai tentativi di “appropriazione indebita” – se così si può dire – da parte della Bayern.

 

“Additare le misure ecologiste comunitarie come responsabili delle difficoltà del settore agricolo equivale a guardare il dito, quando si dovrebbe guardare la luna. La luna, in questo caso, è l’evidenza che oggi produrre cibo in Europa è economicamente insostenibile e gli agricoltori sono costretti a vendere sotto i costi di produzione: in questa prospettiva le manifestazioni di dissenso sono anche comprensibili e legittime”, spiega Deafal in risposta alle rivendicazioni degli agricoltori.

 

Fra l’altro la situazione è mutata radicalmente dall’inizio delle proteste degli agricoltori, poiché la Commissione Europea ha annunciato una sostanziale retromarcia sul regolamento sui pesticidi, andando quindi incontro agli agricoltori. Eppure attribuire al Green Deal le responsabilità di questa crisi è un atto miope e pericoloso, osserva Deafal. Scelte come il ritiro del regolamento Sur sulla riduzione dei pesticidi, il via libera alle Tecniche di evoluzione assistita (TEA) e il rinnovo all’uso del glifosato, solo per fare qualche esempio, hanno svuotato di senso e vanificato i possibili impatti positivi del Green Deal.

 

Sul tema è intervenuto anche il WWF per bocca di Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità, secondo cui «gli effetti del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità stanno già causando impatti devastanti sui raccolti e mezzi di sussistenza in tutto il mondo. Rinunciando oggi ad avviare la necessaria trasformazione dei nostri sistemi agro-alimentari, come era bene delineato nelle Strategie del Green Deal, Farm to Fork e Biodiversità 2030, la situazione peggiorerà notevolmente. Rinviare oltre il 2024 l’attuazione concreta di queste strategie per la riduzione delle emissioni dei gas clima alteranti, dell’uso dei pesticidi in agricoltura e rinunciare al ripristino della natura nelle aree agricole è un errore imperdonabile».

 

“Le ragioni della crisi vanno cercate altrove, nei modelli di produzione, distribuzione e sostegno agli agricoltori“, spiegano ancora da Deafal. “Dobbiamo essere coscienti del fatto che un numero limitato di grandi gruppi industriali esercita un controllo significativo sul mercato globale delle attrezzature agricole, sul settore delle sementi e sulla commercializzazione di cereali e altre derrate alimentari. Questo controllo influisce direttamente sui prezzi sia per i produttori che per i consumatori”.

 

La situazione è dunque piuttosto complessa. Come ha evidenziato anche Andrea Degl’Innocenti, buona parte delle proteste degli agricoltori europei e italiani – che hanno aggiunto alcune rivendicazioni a quelle già avanzate dai colleghi degli altri Paese – non è condivisibile e si rifà esclusivamente a logiche commerciali, quasi corporative, tralasciando completamente l’aspetto della sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Anche Deafal esprime dubbi in proposito, criticando inoltre chi cavalca politicamente questi movimenti e fa il gioco della lobby dell’agroindustria, sempre attiva per affossare le politiche europee del Green Deal.

 

“La crisi dell’agricoltura europea, ribadiamolo, ha origine da un sistema agroalimentare fallimentare, che pone gli agricoltori in condizioni di dipendenza non solo dai grandi gruppi agroindustriali e dalle fonti fossili, ma anche dai sussidi della stessa Unione Europea. Mantenere in vita un sistema che ha manifestato tutti i suoi limiti e i suoi impatti negativi non farà altro che danneggiare gli agricoltori, ritardando o impedendo un cambiamento inevitabile”, sostiene la ONG.

 

Fonte https://www.italiachecambia.org/2024/02/proteste-degli-agricoltori/

Italia ultima in Europa per metro e tram, ma ai vertici per numero di auto

L’Italia è l’ultimo tra i principali Paesi europei per mobilità sostenibile su ferro e tra i primi, invece, per utilizzo di auto private, con un parco vetture tra i più grandi d’Europa. Di conseguenza le città sono sempre più “sotto scacco di traffico e smog” mentre gli investimenti sono praticamente fermi: “Un immobilismo quello delle città italiane, sempre più fragili e vulnerabili a causa della crisi climatica, che racconta anche quanto si stia investendo poco nei trasporti”. È questo il quadro che viene fuori dal report “Pendolaria – Speciale aree urbane” di Legambiente diffuso nell’ambito della campagna Clean Cities. Per l’associazione ambientalista serve, pertanto, “uno sforzo aggiuntivo” per realizzare nuove linee di metro e tram, incentivando la ciclabilità, e soprattutto “evitando di sprecare risorse per inutili opere faraoniche come gli 11 miliardi di euro stimati dal governo per realizzare il Ponte sullo Stretto di Messina“.

 

La carenza delle metropolitane – Secondo il report a pesare è soprattutto la carenza infrastrutturale. In Italia la lunghezza totale delle linee di metropolitane si ferma a poco meno di 256 chilometri, ben lontano dai valori di Regno Unito (680,4 km), Germania (656,5), Spagna (615,6) e Francia (389,8 km). Praticamente il totale delle linee metropolitane nella Penisola è inferiore, o paragonabile, a quello di singole città europee come Madrid (291,3) o Parigi (225,2). Tra l’altro dei 256 chilometri di metro italiane, 104 sono della sola città di Milano, mentre Roma (con i suoi quasi 61 km) risulta tra le città europee peggiori in termini di dotazioni di binari e metro: nella capitale sono presenti 1,43 chilometri di binari di metro ogni 100mila abitanti, rispetto ai 4,93 di Londra, ai 4,48 di Madrid e ai 4,28 di Berlino. Milano si attesta a 3,2 chilometri ogni 100mila abitanti mentre Torino a 0,66.

 

Tram e ferrovie suburbane – Situazione analoga quella delle tranvie e delle ferrovie suburbane. I 397,4 chilometri di binari per i tram italiani sono molto lontani dagli 875 della Francia e soprattutto dai 2.042,9 della Germania. In termini di ferrovie suburbane, molto utilizzate ogni giorno da tanti pendolari, l’Italia è dotata di una rete totale di 740,6 chilometri mentre sono 2.041,3 quelli della Germania, 1.817,3 nel Regno Unito e 1.442,7 in Spagna.

 

Investimenti fermi – Non solo gli altri Stati hanno migliori infrastrutture ma hanno anche molti progetti di sviluppo per aumentare il numero di utenti. E in Italia? Sul fronte investimenti su ferro, il rapporto di Legambiente evidenzia che l’Italia ha fatto ben poco preferendo quello su gomma. Nel 2023, ricorda l’associazione, non è stato inaugurato nemmeno un chilometro di nuove tranvie, mentre l’unica aggiunta alla voce metropolitane riguarda l’apertura di un nuovo tratto della M4 a Milano. E se si guarda indietro negli anni, dal 2016 al 2023 sono stati realizzati appena 11 chilometri di tranvie e 14,2 di metropolitane, con una media annua rispettivamente di 1,375 chilometri e 1,775 chilometri, ben lontani da quanto sarebbe necessario per recuperare la distanza dalle dotazioni medie europee.

 

Parco auto tra i più grandi d’Europa – Di conseguenza in Italia l’utilizzo dell’automobile raggiunge cifre record, confermandosi il Paese europeo più legato al trasporto su gomma, con un parco vetture tra i più grandi del vecchio continente: 666 auto ogni mille abitanti, il 30% in più rispetto alla media di Francia, Germania e Spagna. Questo anche perché, spiega Legambiente nel rapporto, pesa la mancanza di interconnessioni tra le varie linee di trasporto di massa, di Tpl (trasporto pubblico locale) e di mobilità dolce, di integrazione delle stazioni con il tessuto urbano pedonabile e ciclabile.

 

Traffico e inquinamento – Gli effetti di tutto questo quadro riguardano direttamente i livelli di inquinamento urbano e, indirettamente, la salute delle persone e la vivibilità delle stesse città. “Ancora nel 2023, come raccontato dal rapporto Mal’aria di città di Legambiente, in Italia 18 città su 98 hanno superato i limiti giornalieri di PM10“, si legge nel report. “Frosinone la peggiore con 70 giorni di sforamento, seguita da Torino (66), Treviso (63), Mantova, Padova e Venezia con 62. In particolare, preoccupa il confronto con i nuovi target europei al 2030: sarebbero, infatti, fuorilegge il 69% delle città per il PM10, l’84% per il PM2.5 e il 50% per l’NO2 . Le conseguenze di questa situazione sono innanzitutto sulla salute: ogni anno nella Penisola, stando ai dati dell’EEA4 , sono oltre 50.000 le morti premature dovute all’inquinamento atmosferico“, scrive Legambiente.

 

Crisi climatica ed eventi meteo estremi – “Un immobilismo quello delle città italiane, sempre più fragili e vulnerabili a causa della crisi climatica, che racconta anche quanto si stia investendo poco nei trasporti”, osserva Legambiente spiegando che dal 2010 al 2023 sono 182 gli eventi meteo estremi che hanno avuto, ad esempio, impatti sui servizi ferroviari con rallentamenti o interruzioni causati non solo da piogge intense e allagamenti; frane dovute a intense precipitazioni, ma anche da temperature record e forti raffiche di vento. Le regioni più colpite: Lazio (37), Lombardia (25) e Campania (17).

 

“Basta sprecare risorse inutili per opere faraoniche come il Ponte” – “Mentre l’Europa viaggia sempre più velocemente su ferro le città italiane sono ferme al palo“, afferma Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente commentando i risultati del report, sottolineando che “serve uno sforzo aggiuntivo sulle risorse economiche fino al 2030, pari a 1,5 miliardi di euro l’anno, per realizzare linee metropolitane, tranvie, linee suburbane, recuperando i fondi dalle tante infrastrutture autostradali e stradali previste, rifinanziando i fondi per il trasporto rapido di massa e la ciclabilità, completamente svuotati dal governo Meloni, evitando di sprecare risorse per inutili opere faraoniche come gli 11 miliardi di euro stimati dal governo per realizzare il Ponte sullo Stretto di Messina“. “In un’epoca in cui la crisi climatica ha accelerato il passo bisogna ripartire dalle città per farle diventare davvero moderne, vivibili e sostenibili ottenendo, così, importanti benefici ambientali ed economici”, conclude Ciafani.

 

Fonte https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/03/06/italia-ultima-metro-tram-vertici-numero-auto-traffico-smog-legambiente/7470155/

 

Policy brief ASviS dissesto idrogeologico: poca prevenzione e i danni aumentano

Per mettere in sicurezza il territorio dal dissesto idrogeologico servirebbero 26 miliardi di euro da destinare alle attività di prevenzione.

 

In Italia, tra il 2013 e il 2019, sono stati spesi circa 20 miliardi di euro per far fronte all’emergenza generata da eventi catastrofici, di contro solo un decimo di questa cifra (2 miliardi di euro) è andato in prevenzione. È quanto emerge dalla presentazione del Policy brief dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) “Politiche di prevenzione e contrasto al dissesto idrogeologico. Proposte per un approccio integrato”, curato da Walter Vitali, coordinatore del Gruppo di lavoro sul Goal 11 “Città e comunità sostenibili”.

 

Il documento, presentato nel corso di un evento organizzato dall'ASviS il 4 marzo, presso la Sala polifunzionale della presidenza del Consiglio dei ministri di Palazzo Chigi (Roma), è stato discusso con il ministro per la Protezione civile e le politiche del mare, Nello Musumeci.

 

Dissesto idrogeologico: la situazione

Negli ultimi anni l'Italia è stata più volte colpita da una serie di alluvioni di vasta portata. Ricordiamo per esempio quelle che hanno interessato Regioni come l’Emilia-Romagna, la Toscana e le Marche nel 2023, e quelle del 2022 che hanno messo in crisi le province di Ancona e Pesaro-Urbino, senza dimenticare il disastro di Casamicciola (Ischia).

 

Sul tema del dissesto idrogeologico il rapporto dell’Ispra dal titolo “Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio” del 2021 è stato chiaro: il 93,9% dei comuni italiani è a rischio frane, alluvioni o erosione costiera. Un dato che rende parecchio vulnerabili almeno 1,3 milioni di abitanti per quanto riguarda le frane, e 6,8 milioni per le alluvioni.

 

L’Ispra ha inoltre analizzato il quadro degli interventi e delle spese. Secondo il Rapporto “Rendis 2020”, negli ultimi 20 anni il ministero dell’Ambiente ha finanziato più di 6mila interventi di prevenzione per un totale di oltre 6 miliardi di euro, con una spesa media annua di 329 milioni di euro. Come detto in apertura, però, per mettere in sicurezza il territorio servirebbero molti più soldi, almeno 26 miliardi di euro.

 

Le proposte dell’ASviS

Il Policy brief presentato dall’ASviS avanza una serie di proposte per affrontare la sfida del dissesto idrogeologico, che si può vincere soltanto attraverso una decisa attività di prevenzione. Tra le proposte troviamo infatti la necessità di triplicare la capacità di spesa per interventi di prevenzione del rischio idrogeologico segnalati dalle Regioni e di competenza del Mase (Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica), portandola rapidamente a un miliardo di euro l’anno rispetto agli attuali 300 milioni circa. Inoltre, appare urgente l’individuazione di una procedura uniforme per la gestione delle fasi di emergenza e ricostruzione, e occorre applicare il modello della resilienza trasformativa alle diverse fasi di ricostruzione.

 

Per ridurre le morti e i danni provocati dalle catastrofi, e prepararsi a mitigare gli impatti devastanti della crisi climatica sui territori e sulle persone che lo abitano, è urgentissimo adeguare in via straordinaria la pianificazione di bacino tramite i Piani per l’assetto idrogeologico (Pai) alle nuove mappe di pericolosità contenute nei Piani gestione rischio alluvioni (Pgra) delle Autorità di bacino distrettuali.

 

Per quanto riguarda il “Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale”, il cosiddetto “ProteggItalia” varato nel 2019 e tutt’ora in vigore, la Corte dei Conti ha segnalato che la misura non è riuscita a unificare i criteri e le procedure di spesa, anche in relazione ai fondi messi a disposizione dal Pnrr, e non ha individuato strumenti di pianificazione territoriale efficaci. Il processo decisionale che ruota intorno alle attività di salvaguardia del territorio continua poi a essere troppo lento, mentre permane la difficoltà delle amministrazioni centrali e locali a utilizzare i fondi stanziati.

 

Per ovviare a problemi di carattere emergenziale, l’ASviS suggerisce di rafforzare il ruolo di coordinamento della Presidenza del Consiglio, in modo da avere una visione integrata delle azioni da intraprendere per mantenere il buono stato del ciclo idrologico.

 

Infine, per cambiare approccio sul tema e garantire un futuro sicuro e resiliente per ogni individuo, occorre adottare una pianificazione nazionale pluriennale per la difesa del suolo e la gestione delle acque, e approvare un Testo unico legislativo in materia di mitigazione del rischio idrogeologico.

 

Responsabilità editoriale di ASviS

 

Fonte https://www.ansa.it/ansa2030/notizie/asvis/2024/03/04/policy-brief-asvis-dissesto-idrogeologico-poca-prevenzione-e-i-danni-aumentano_a9279665-4e7d-4542-a121-ef88dbf87cbc.html

 

In Italia i sussidi ai combustibili fossili surclassano gli incentivi alle energie rinnovabili

Intervenendo ieri al “question time” della Camera, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto ha fornito una prospettiva d’insieme sugli incentivi garantiti alle fonti rinnovabili nel nostro Paese negli ultimi tre lustri.

 

«Dal 2008 al 2022 risultano erogati incentivi alle rinnovabili per oltre 141 miliardi di euro – ha spiegato Pichetto – La progressiva diffusione delle rinnovabili favorirà la diminuzione dei costi delle singole tecnologie, alle quali sono tarate i meccanismi di incentivazione, e di conseguenza una riduzione degli oneri in bolletta nel tempo».

 

Gli incentivi alle fonti pulite sono infatti in calo da tempo, anche se sono stati un pilastro fondamentale per abbattere i costi delle tecnologie, con indubbi vantaggi per il nostro Paese (l’associazione confindustriale Elettricità futura stima risparmi per 25 mld di euro nel solo 2022 grazie alle rinnovabili).

 

L’ammontare complessivo degli incentivi resta comunque considerevole. Oggi le fonti rinnovabili rappresentano le tecnologie più economiche per produrre energia – come testimoniano le analisi Irena, Iea, Bce e Bei tra le altre –, perché dunque continuare a incentivarle?

 

Oltre al diverso grado di maturità tecnologica dei vari impianti rinnovabili incentivati, uno dei principali motivi risiede nel fatto che gli investimenti si muovono su un campo tutt’altro che neutro, ma teso a tenere artificialmente bassi per i consumatori i costi dei combustibili fossili.

 

Il Fondo monetario internazionale (Fmi) stima infatti che nel 2022 i sussidi alle fonti fossili, in Italia, siano arrivati a 63 mld di dollari, ovvero oltre 57 mld di euro al cambio attuale (con Legambiente che arriva invece a una stima quasi doppia, 94,8 mld di euro).

 

Anche prima dell’ultima crisi energetica e in piena pandemia (2020) il dato era comunque molto elevato, stimato da Banca mondiale e Fmi in 41 mld di dollari (oltre 37,5 mld di euro).

 

Togliere questi sussidi significherebbe far impennare il prezzo dei combustibili fossili, un’operazione necessaria alla transizione ecologica ma possibile (e giusta) solo in un contesto di sostenibilità sociale, ovvero tutelando le fasce di popolazione meno abbienti tramite una robusta redistribuzione del gettito e una più marcata progressività fiscale, in modo da far pagare i costi della transizione ai più ricchi (che sono anche i principali emettitori di gas serra).

 

Anziché portare avanti questa doppia battaglia contro crisi climatica e disuguaglianze socioeconomiche, il Governo Meloni ha invece deciso di legare ancora di più il destino dell’Italia all’import di gas fossile.

 

Ne è un esempio la priorità che continua ad essere garantita alle infrastrutture di rigassificazione, sbocciata in via emergenziale dopo l’invasione russa dell’Ucraina ma trasformata rapidamente in una politica di lungo periodo.

 

Nel suo intervento alla Camera, Pichetto ha infatti sottolineato che «i rigassificatori costituiscono opere strategiche per la sicurezza nazionale, fermo restando il programma di decarbonizzazione. I due terminali di rigassificazione di Porto Empedocle e Gioia Tauro, già autorizzati, potranno garantire una capacità aggiuntiva pari a 20 miliardi di standard metri cubi annui, con la possibilità di traguardare al 2030 una capacità complessiva di circa 48 miliardi».

 

C’è n’è bisogno? Già l’autunno scorso l’Italia vantava una capacità complessiva d’approvvigionamento gas pari a 83 mld di mc l’anno, a fronte di consumi pari a 68,5 mld di mc nel 2022, scesi ancora a 61,5 mld mc (-10%) nel 2023.

 

In tutta Europa i consumi di gas sono al minimo da 10 anni – a causa di un mix di fattori dovuto a clima mite, crescita delle rinnovabili, difficoltà delle industrie energivore – e anche per il Gnl il picco dei consumi viene previsto al 2025.

 

Già oggi l’Italia è il principale Stato europeo a dipendere dal gas fossile, affidando la propria sicurezza energetica a Paesi come Algeria e Azerbaigian. Al contempo, la transizione ecologica stenta ancora a decollare a causa di colli di bottiglia autorizzativi, sindromi Nimby e Nimto: nel corso del 2023 sono entrati in esercizio +5,7 GW di impianti rinnovabili, neanche la metà di quelli che servirebbero annualmente per traguardare gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030.

 

di Luca Aterini

 

Fonte https://greenreport.it/news/economia-ecologica/in-italia-i-sussidi-ai-combustibili-fossili-surclassano-gli-incentivi-alle-energie-rinnovabili/

Febbraio batte i record di temperatura. Ecco perché questo inverno è stato così caldo

I mesi di dicembre, gennaio e febbraio sono stati superiori di 0,78°C alla media globale. Ma gli ultimi tre mesi sono solo un sintomo di un problema molto più ampio.

 

Il mese di febbraio è stato il più caldo della storia, secondo i nuovi dati del Copernicus Climate Change Service (C3S) dell'UE. **Si tratta del nono mese consecutivo in cui le temperature hanno superato i record.**Il mese di febbraio ha superato di circa 0,81°C la media del periodo 1991-2020 ed è stato più caldo di un decimo di grado rispetto al precedente record stabilito nel 2016.

 

Il nono mese consecutivo di record è già di per sé sconcertante, ma in prospettiva evidenzia soprattutto la tendenza al continuo riscaldamento globale.

 

"A luglio [2023], quando si parlava di temperature mensili, la notizia era che eravamo a circa 1,5°C per un mese [al di sopra delle medie pre-industriali]. Il mese di febbraio è stato circa 1,77C sopra le medie preindustriali", afferma Carlo Buontempo, direttore del C3S. "È davvero tanto".

 

In Europa, le temperature registrate in questi tre mesi hanno reso questo inverno il secondo più caldo mai registrato dopo la stagione 2019/2020, con 1,44°C sopra la media. Per alcuni Paesi d'Europa, invece, questo è stato l'inverno più caldo di sempre.

 

L'Osservatorio nazionale di Atene, ad esempio, ha dichiarato che questo inverno è stato il più caldo mai registrato in Grecia. La Polonia ha registrato temperature tra i 3,5 e i 7,5°C più calde della media per il mese di febbraio e l'Ungheria ha registrato una media nazionale di 7°C in più rispetto al solito.

 

Perché questo inverno è stato così caldo?

A livello globale, dicembre, gennaio e febbraio sono stati superiori di 0,78°C alla media. Ma gli ultimi tre mesi non sono altro che un simbolo di un problema più ampio. 

 

"È stato un inverno molto caldo, un autunno molto caldo, un'estate molto calda ed è stato l'anno più caldo mai registrato nel 2023", spiega Buontempo. "Il quadro generale è molto, molto chiaro. Le temperature stanno salendo ovunque e questo ha implicazioni per molte delle nostre attività, per gli ecosistemi, per la pesca, per l'oceano e così via".

 

El Nino, ad esempio, ha fatto parlare di sé per le temperature elevate, il clima estremo, la siccità e i fallimenti dei raccolti in tutto il mondo. Tuttavia, se si confronta questo El Nino con quelli precedenti, non è stato così estremo come quelli visti alla fine degli anni Novanta. 

 

"Eppure abbiamo registrato temperature molto più calde", afferma Buontempo. "Questo perché, mentre El Nino può alzare e abbassare, a seconda della fase in cui ci si trova, la temperatura media globale, c'è un fattore che continua ad aumentare. Si tratta dei gas serra", sintetizza Buontempo.

 

Inverno e clima impazzito

L'inverno è stato molto più piovoso della media in un'ampia fascia che va dalla penisola iberica alla Russia occidentale, e che comprende il Regno Unito, l'Irlanda e la Scandinavia meridionale. Il vento e le forti piogge hanno causato danni e distruzioni diffuse. Nel Regno Unito, all'inizio di febbraio si erano abbattute ben 10 tempeste.

 

Al contrario, i Paesi del Mediterraneo, alcune parti dei Balcani, gran parte della Turchia, le regioni dell'Islanda e della Scandinavia settentrionale e gran parte della Russia occidentale hanno vissuto un inverno più secco della media.

 

Nel Mediterraneo, in particolare, questa siccità ha avuto impatti catastrofici che hanno portato a carenze idriche, razionamenti, restrizioni e stati di emergenza per milioni di persone.

 

Secondo Carlo Buontempo, "le aree secche diventeranno più secche e le aree umide diventeranno più umide". È una frase ad effetto che semplifica e spiega chiaramente  l'impatto dell'aumento delle temperature su tutta una serie di altre variabili.

 

Anche se ci sono state alcune sorprese, come transizioni più rapide o più forti di quanto previsto dagli esperti, "in generale, quello che stiamo vedendo ora è ben allineato con quello che ci aspettavamo di vedere 20 anni fa", riassume Buontempo.

Cosa sappiamo dei prossimi sei mesi, dei prossimi cinque o dieci anni? È semplice, dice Buontempo: sappiamo che la temperatura media aumenterà. "Penso che sia sensato prenderne atto e utilizzarlo come uno degli input per il processo decisionale e politico strategico", conclude l'esperto.

 

di Rosie Frost

 

Fonte https://it.euronews.com/green/2024/03/07/febbraio-batte-i-record-di-temperatura-ecco-perche-questo-inverno-e-stato-cosi-caldo

 

  

Ue, approvata la legge sul ripristino della natura: l'opposizione della destra e le proteste degli agricoltori

La legge ha ricevuto 329 voti a favore, 275 contrari e 24 astensioni, un margine superiore a quello inizialmente previsto. Il risultato ha suscitato gli applausi e le acclamazioni dei deputati socialisti e verdi, mentre i colleghi di destra sono rimasti in silenzio.

 

La legge sul ripristino della natura, fortemente rimodellata durante i negoziati con gli Stati membri, passerà ora al Consiglio per il voto finale.

 

Gli obiettivi della legge sul ripristino della natura

La legge mira a ripristinare almeno il 20 per cento delle aree terrestri e marine dell'Unione Europea entro il 2030 e tutti gli ecosistemi degradati entro il 2050. Stabilisce obblighi e obiettivi su diversi campi d'azione, come terreni agricoli, fiumi, foreste e aree urbane, per invertire gradualmente i danni ambientali causati dal cambiamento climatico e dall'attività umana incontrollata.

 

Presentato per la prima volta dalla Commissione europea nel giugno 2022, ha acquisito ulteriore importanza dopo lo storico accordo sulla biodiversità siglato alla Cop15.

 

Le critiche del Partito popolare europeo

L'anno scorso, però, la legge è stata oggetto di una feroce campagna di opposizione da parte dei conservatori, in particolare del Partito popolare europeo (Ppe), la formazione più numerosa del Parlamento. Il Ppe ha ripetutamente affermato che la legge avrebbe minacciato i mezzi di sussistenza degli agricoltori europei, interrotto catene di approvvigionamento consolidate, diminuito la produzione alimentare, fatto aumentare i prezzi per i consumatori e persino cancellato le aree urbane per far posto a spazi verdi.

 

Le argomentazioni del Ppe sono state fortemente contestate da gruppi di sinistra, dalla Commissione europea, da decine di Ong, da migliaia di scienziati del clima, dall'industria delle rinnovabili e da grandi aziende come Ikea, H&M, Iberdrola, Unilever, Nestlé e Danone, che hanno insistito sul fatto che l'obiettivo di ripristinare la natura è compatibile con l'attività economica ed è essenziale per garantire la vitalità a lungo termine dei suoli europei.

 

L'ondata di proteste degli agricoltori europei

La spinta guidata dal Ppe per far deragliare la posizione comune del Parlamento è fallita a luglio dopo che una manciata di conservatori si è ribellata e ha rotto i ranghi per votare a favore del progetto di legge. Questo ha permesso agli eurodeputati di avviare i negoziati con il Consiglio e di raggiungere un accordo provvisorio a novembre, che avrebbe dovuto essere approvato da entrambe le istituzioni.

 

Tuttavia, l'esplosione a gennaio delle proteste degli agricoltori in tutta Europa ha rinvigorito le critiche contro il Green Deal, poiché il settore agricolo ha accusato direttamente i regolamenti ambientali del blocco dell'eccessivo carico burocratico.

 

La legge sul ripristino della natura, che era passata in gran parte in secondo piano, è stata nuovamente spinta al centro della tempesta politica.

 

"Siamo ancora convinti che la legge sul ripristino della natura sia stata redatta male e non sia mai stata all'altezza del compito che avevamo di fronte", ha dichiarato martedì Manfred Weber, presidente del Ppe, in vista del voto.

 

"L'inflazione è oggi guidata dall'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari nei supermercati. Dobbiamo chiedere ai nostri agricoltori di produrre di più e non di meno per stabilizzare l'inflazione".

 

Pedro Marques, dei Socialisti e Democratici (S&D), ha replicato alle affermazioni e ha accusato i conservatori di diffondere "disinformazione".

 

"Questa idea che votano (contro la legge) perché si preoccupano per gli agricoltori è assolutamente inaccettabile. È assolutamente inaccettabile. È solo populismo. Questo è fuorviare gli europei e certamente i nostri agricoltori", ha detto Marques.

 

"Negare il Green Deal, negare l'emergenza climatica non è certo il modo per risolvere i nostri problemi".

 

La sopravvivenza della legge è un beneficio per il Green Deal, che è sottoposto a crescenti pressioni da parte dei partiti di destra e liberali, del settore agricolo e delle associazioni industriali. All'inizio del mese, Ursula von der Leyen ha deciso di ritirare una controversa proposta di legge che mirava a dimezzare l'uso dei pesticidi entro il 2030.

 

"Solo se i nostri agricoltori potranno vivere della terra, investiranno nel futuro. E solo se raggiungeremo insieme i nostri obiettivi climatici e ambientali, gli agricoltori potranno continuare a guadagnarsi da vivere", ha dichiarato il presidente della Commissione.

 

"I nostri agricoltori lo sanno bene. Dovremmo avere più fiducia in loro".

 

Fonte https://it.euronews.com/my-europe/2024/02/27/ue-approvata-la-legge-sul-ripristino-della-natura-lopposizione-della-destra-e-le-proteste-#:~:text=Notizie%20dall'Europa-,Ue%2C%20approvata%20la%20legge%20sul%20ripristino%20della%20natura%3A%20l',Kowalczyk%2FCopyright%202023%20The%20AP.